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PIGS: LA LISTA DEI PAESI A RISCHIO CRACK ECONOMICO, L'ITALIA COSA RISCHIA?

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umby64
view post Posted on 20/2/2010, 11:00




PIGS: LA LISTA DEI PAESI A RISCHIO CRACK ECONOMICO, L'ITALIA COSA RISCHIA?

Il rigore di Tremonti non basta a frenare il contagio greco. Si deve riformare lo Stato. L'aspetto più sorprendente della crisi dell'euro, scatenata dai problemi greci, è l'assenza dell'Italia dalla lista dei colpevoli. I paesi a maggior rischio, soprannominati 'PIGS' (porci), sono il Portogallo, l'Irlanda, la Grecia e la Spagna (da cui l'acronimo), non l'Italia. Il 'Wall Street Journal' ha addirittura menzionato l'Italia tra i paesi che dovrebbero finanziare un possibile intervento a favore della Grecia. C'è di che rallegrarsi?

Se l'Italia non si trova oggi sul tavolo dei principali imputati lo deve principalmente alla prudenza del nostro settore privato. A fronte di un elevatissimo rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, abbiamo un indebitamento delle famiglie molto limitato. Il nostro debito estero totale (privato più pubblico) è solo il 125 per cento del Pil, contro il 175 per cento della Grecia e il 928 per cento dell'Irlanda.

Questa prudenza ha anche evitato una bolla immobiliare, che è costata carissima a Spagna e Irlanda, sia in termini di caduta del Pil che in termini di crisi bancarie. Parte del merito va anche riconosciuto al ministro Giulio Tremonti, che ha resistito alle forti pressioni ad aumentare la spesa pubblica. Mentre i deficit di bilancio di Grecia, Irlanda, e Spagna sono esplosi al 12-13 per cento del Pil, il nostro è salito 'solo' al 5 per cento, un livello non sostenibile nel lungo periodo, ma accettabile nel mezzo della peggior recessione del dopoguerra.

Queste virtù che ci hanno salvato nel breve periodo, però, non devono generare false illusioni. Al di là dei problemi contingenti dei PIGS, questa crisi mette in luce le contraddizioni di un'unione monetaria che non si è trasformata in unione politica.

Rinunciare alla sovranità monetaria ha costi e benefici. Finora abbiamo goduto dei benefici: tassi di interesse bassi e stabili, che hanno ridotto il disavanzo pubblico in un paese con un enorme debito. Adesso, però, cominciamo a vederne i costi. L'Italia, che come i PIGS ha visto i propri prezzi crescere più dei partner commerciali, ha perso di competitività. Non potendo svalutare il cambio, per recuperare la competitività rimangono solo tre possibilità: un forte aumento della produttività, una riduzione dei salari, o un congelamento dei salari nel contesto di una politica monetaria più accomodante nei confronti dell'inflazione.

La prima possibilità, di gran lunga preferibile, è difficile da conseguire. La produttività italiana è cresciuta a ritmi molto lenti negli ultimi anni. Per invertire questa tendenza sarebbero necessari forti investimenti del settore privato, difficilmente concepibili in un periodo di crisi. La riduzione dei salari nominali è difficilmente gestibile dal punto di vista sociale, come le proteste in Grecia dimostrano. La terza soluzione è inaccettabile ai nostri partner europei, soprattutto tedeschi, che non hanno alcuna intenzione di tollerare una maggiore inflazione per alleviare gli errori degli altri membri dell'unione.

In questo contesto è forte per i PIGS (e soprattutto per la Grecia) la tentazione di uscire dall'euro. L'uscita permetterebbe un forte aumento di competitività (almeno nel breve periodo) senza toccare i salari nominali. L'aumento dei tassi che ne conseguirebbe renderebbe inevitabile un default sul debito, ma questo default colpirebbe principalmente gli investitori esteri, che detengono la maggior parte del debito dei PIGS (e dell'Italia). Non è un'opzione facile, ma può diventare preferibile a un periodo di forte recessione e tensioni sociali. Questa è la paura dei mercati finanziari che oggi attribuiscono una probabilità del 10 per cento che la Grecia faccia default entro un anno.

Nel momento in cui l'uscita della Grecia rendesse la scelta di aderire all'euro reversibile, la sorte dell'Italia sarebbe segnata. Anticipando la possibilità di un default, i mercati finanziari comincerebbero a richiedere tassi più elevati sul debito pubblico italiano. Un rialzo dei tassi aggraverebbe il nostro deficit di bilancio e ridurrebbe il beneficio di stare nell'euro, aumentando la probabilità di una nostra uscita con inevitabile default: un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Purtroppo la disciplina fiscale di Tremonti, pur necessaria, non è più sufficiente. A meno di miracoli del settore privato, l'unica via sicura per riguadagnare competitività senza svalutare è riformare lo Stato. L'inefficienza statale (dai processi interminabili, alle code per i permessi, alla mancata protezione contro la criminalità) pesa come un macigno sulle nostre aziende. Rimuovere questo macigno è necessario per rimanere in Europa.
 
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